I temi al centro del voto. Per il 25% degli americani, il tema principale era l’inflazione e per l’11% l’economia in generale. Quindi il 36% degli americani ha votato guardando al portafoglio e con la convinzione che con Trump saranno meno poveri. Non che con Biden l’economia sia andata male: il tasso di disoccupazione è sceso ai minimi storici, i risparmi sono aumentati e anche la produttività . Il problema è che, più che i macro-risultati, conta la percezione delle persone e gli statunitensi sono convinti che le loro condizioni economiche siano peggiorate negli ultimi 4 anni (lo pensano 7 americani su 10, lo pensavano 4 americani su 10 dopo la presidenza Trump nel 2020). Come si spiega tutto questo? Gli esperti parlano di “vibe recession”, ossia di uno scollamento tra le percezioni della gente ed i dati reali dell’economia. Sicuramente hanno inciso fortemente l’inflazione, salita alle stelle e scesa solo nelle ultime settimane, che ha colpito le famiglie del ceto medio e chi già faceva fatica ad arrivare alla fine del mese (solo il prezzo del cibo è aumentato del 22 % dal 2021), ed il fatto che i Democratici non hanno adeguatamente saputo sottolineare i risultati raggiunti e mettere al centro della propria agenda elettorale il benessere economico e la capacità di spesa degli americani. L’11 % degli elettori ha poi dato più peso al tema dell’immigrazione e anche questo ha avvantaggiato Trump, che ha saputo cavalcare i sentimenti di paura e attaccare duramente l’amministrazione Biden-Harris per la disastrosa gestione dei confini. I temi su cui i Democratici hanno incentrato la propria campagna presidenziale sono stati quelli meno sentiti dalla popolazione: il diritto all’aborto è stato considerato tema prioritario dall’8% delle persone, i diritti civili dal 6% e la lotta al cambiamento climatico dal 7%.
In poche parole, le elezioni le vince chi sa interpretare gli interessi e le priorità degli elettori (Trump ha compreso le due principali preoccupazioni, ossia la sfiducia nell’economia e l’immigrazione) e chi sa rivendicare i risultati raggiunti (i Democratici non l’hanno fatto).
Gli agenti determinanti il voto. Le analisi delle scorse settimane ed i trend che avevamo già anticipato si sono confermati. Per quanto riguarda il legame tra grado di istruzione e propensione al voto, la tendenza analizzata è riscontrabile: tra i cittadini senza una laurea (ossia il 57% dei votanti), Trump ha ottenuto il 54% dei voti; tra quelli laureati (il 43% dei votanti), è stata Kamala Harris a ottenere maggiore consenso. Anche per quanto riguarda l’età degli elettori, come in passato si conferma che i più giovani hanno preferito votare per i Dem, mentre sopra i 45 anni è Trump ad avere prevalso. La propensione al voto in base alle etnie è forse il dato più interessante: la tendenza che i bianchi votano Repubblicano e le minoranze etniche votano Democratico, si è confermata in termini assoluti. Ma con l’importante novità (che avevamo previsto) che il voto dei latinos si è spostato notevolmente a destra. Trump ha saputo cavalcare il tema delle immigrazioni e le paure che anche i latinos hanno di essere “rimpiazzati” dai nuovi immigrati, tanto che il 45% degli ispanici – una percentuale altissima rispetto al passato – ha sostenuto convintamente il candidato repubblicano. Un dato curioso è quello della città di Starr, una contea texana sul Rio Grande, fiume che porta ai confini con il Messico: nel 2012 il 78% dei latinos aveva votato per il democratico Obama, ma dopo 12 anni il risultato si è completamente ribaltato con il 71% a favore di Trump. Degno di nota anche l’aspetto della religione: il voto dei musulmani in alcune contee è Stato un voto decisivo. Lo è stato per esempio in Michigan, in cui c’è un’importante concentrazione di cittadini musulmani che hanno votato a destra, in quanto delusi dalla posizione dell’amministrazione Biden sulla guerra nella Striscia di Gaza e fortemente conservatori per ciò che concerne le libertà civili. Per quanto riguarda il genere, Kamala Harris non ha sfondato nemmeno tra le donne. Dai dati preliminari, si può evincere che a livello nazionale ha avuto un vantaggio del 10% rispetto a Trump tra i voti delle donne, ossia un 3% in meno rispetto a quello che aveva ottenuto Hillary Clinton nel 2016. Un pessimo risultato per una candidata donna, che aveva improntato la propria campagna elettorale sull’empowerment femminile e il diritto all’aborto. Occorre però dire che, nonostante la sconfitta di Kamala Harris, ci sono diverse donne democratiche che hanno trionfato, tra cui Angela Alsobrooks, prima donna (nera) eletta al Senato dai Democratici per lo Stato del Maryland, e Lisa Blunt Rochester, prima donna (nera) eletta al Senato dai Democratici per lo Stato del Delaware.
Il discorso della sconfitta: calmare gli animi e rincuorare i delusi. Kamala Harris ha riconosciuto – e non poteva fare diversamente – la vittoria allo sfidante Donald Trump, volendo assicurare un passaggio pacifico di consegne, diversamente da quanto era accaduto nel 2020: è nell’accettare i risultati elettorali che si fonda uno dei principi fondamentali della democrazia. Dalla Howard University ha ringraziato tutti coloro che l’hanno sostenuta e ha promesso che i Democratici continueranno a lottare uniti per la libertà , l’equità e i diritti di tutti. In particolare, ha detto che in prima persona combatterà al fianco delle donne per il diritto di prendere decisioni libere in merito al proprio corpo. Infine, ha rivolto un appello ai più giovani (che in maggioranza l’hanno sostenuta) a non mollare e a portare avanti quel vento di cambiamento che aveva iniziato a soffiare con il suo arrivo nella corsa alla Casa Bianca.