La prima vera certezza delle elezioni appena trascorse è – neanche a dirlo – quella della schiacciante vittoria del Repubblicano Donald Trump e della cocente sconfitta di Kamala Harris, che non è riuscita a sfondare in nessuno degli Stati decisivi e che ha perso consenso anche in quelle fasce di popolazione che hanno sempre sostenuto i Democratici.
I Repubblicani hanno stravinto nei numeri dei Grandi Elettori (in questo momento manca ancora l’ufficialità di due Stati, il Nevada e l’Arizona), perché la strategia è stata quella vincente: confermare il proprio dominio negli Stati da sempre “rossi” e puntare tutte le energie e le risorse su quelli in bilico.
Poi hanno vinto nel voto popolare, cosa non scontata perché era dalle elezioni del 2004 che non ottenevano la maggioranza dei voti della gente: nel 2016 Trump aveva vinto matematicamente con i numeri dei Grandi Elettori, ma Hillary Clinton aveva ottenuto 1 milione di voti popolari in più. Oggi, i Democratici non possono appigliarsi nemmeno a questo, perché Trump è risultato il più votato dalla gente. E che piaccia o no, lo hanno votato con convinzione.
Grandi risultati anche nella vittoria al Senato, in cui i Repubblicani hanno riconquistato la maggioranza, sottraendo 4 seggi ai Democratici, e in cui potranno compiere scelte strategiche come le nomine giudiziarie; momentaneo vantaggio per il Partito di Trump anche alla Camera, dove ancora risultano da assegnare diversi seggi. Qualora dovesse conquistare entrambi i rami del Congresso, per Trump si aprirebbe un’autostrada di possibilità, almeno per i prossimi due anni (fino alle Midterm Elections, in cui si rinnoveranno tutti i seggi della Camera ed un terzo di quelli del Senato).
Occorre poi dire che la personalizzazione della politica ha contribuito ad accentrare meriti e colpe sui due candidati piuttosto che sul Partito. Per questo, possiamo affermare che sia una vittoria personale di Trump e del suo movimento MAGA (Make America Great Again), che ha migliorato in quasi tutte le contee americane rispetto al 2020, ed una sconfitta più di Kamala Harris che del Partito Democratico, perché in diversi Stati in cui la sua figura ha perso, il Partito ha ottenuto buoni risultati per quanto riguarda altre candidature. Per esempio, in North Carolina, Harris ha perso ma il Governatore eletto è Democratico; così come in Arizona, in cui hanno conquistato un seggio al Senato, pur avendo perso alle presidenziali in quello Stato.
Harris non era una candidata forte e ben voluta. E soprattutto era ancora poco conosciuta: dopo 4 anni all’ombra di Biden, ha avuto solo 16 settimane per farsi conoscere dagli americani (la campagna elettorale più breve di sempre per un candidato) e questo non è bastato. Probabilmente Biden avrebbe dovuto fare un passo indietro prima per permettere a Kamala Harris di farsi conoscere o, ancora meglio, per permettere ad altre personalità di emergere e di prendere il posto di candidato.
Ad ogni modo, aldilà della scelta dei candidati e dei loro vice o dei dibattiti pubblici falliti o del voto di una singola componente della popolazione, il risultato così schiacciante a favore dei Repubblicani in ogni contea ed in ogni segmento dell’elettorato dimostra solo che la distribuzione dei voti sta cambiando e che la maggioranza della popolazione si è strutturalmente spostata a destra.
Nel prossimo articolo, troverete maggiori approfondimenti e analisi sul voto americano. Stay tuned!